2005, Viaggio a Taizé - Ginevra - Bose

La prima tappa ci portò fuori, oltre: eravamo desiderosi di uscire dal minuscolo spazio della nostra parrocchia per conoscere e capire se e come Dio continua a lavorare anche oggi dentro la storia degli uomini. Questo forte desiderio ci portò a vivere una profonda esperienza culturale ed ecumenica. La comunità ecumenica di Bose (Ivrea) prima è quella di Taizé (Francia)poi allargarono i polmoni del nostro spirito e ci aiutarono, per la prima volta, a pregare l'unico Signore assieme ad altri fratelli e sorelle di altre confessioni religiose.

La visita al KEK (Conferenze Ecumenica delle Chiese) di Ginevra e al museo internazionale della Croce Rossa ci fecero toccare con mano quanto sia misterioso l'agire di Dio nella storia degli uomini. Furono giorni che ci aiutarono a scoprire il silenzioso ma fecondo agire dello Spirito, la larghezza del cuore di Dio che riesce a seminare dovunque anche nei terreni che appaiono umanamente impossibili, la forza del Risorto che spazza via resistenze e tutti quei patetici tentativi di ostacolarne o impedirne l’opera. Durante il percorso nacquero dentro di noi le seguenti riflessioni...

Estate 2005: Pensieri… e non solo

A te che hai accolto la sfida e ti sei messo in strada per cercare e condividere spazi e luoghi dove oggi si vive a fondo la fraternità, la passione per l’altro, la preghiera intensa e silenziosa, l’apertura universale al domani, l’impegno forte e coraggioso per la riconciliazione e la pace...

Quattrocento chilometri circa, macinati con fatica in una giornata calda e afosa di fine-luglio. Poi, fu un attimo. BOSE, questo minuscolo villaggio sepolto fra le colline del biellese ha un particolare sapore e una strana provocazione: quella di farti catapultare all’improvviso dentro una dimensione che non senti tua, non ti appartiene, è fuori di ogni schema di normalità. Un gruppo di uomini e donne che vivono lì perché hanno deciso di “vendere” totalmente la loro vita al Signore e che, giorno dopo giorno, cercano di essere segno e richiamo della gratuità di Dio. Quel Dio strano e imprevedibile che dissoda e feconda ininterrottamente il terreno della storia..”trasformando le pietre in pane…e facendo piovere sui giusti e gli ingiusti”. Ne abbiamo avuto prova evidente a Ginevra visitando quella “creatura straordinaria” sorta fra gli anni ’40 e gli anni ’50 e cresciuta in maniera esponenziale in questi ultimi tempi: mi riferisco al CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE (C.E.C.). Nato in ambito protestante per lavorare intensamente a cercare ciò che unisce i cristiani più che ciò che li divide e per lanciare forti e chiari segnali a tutta la città degli uomini in ordine alla pace, alla giustizia, alla salvaguardia del creato… il CEC raccoglie più di 340 esperienze di Chiese (ortodosse, protestanti, anglicane…) con l’appoggio e la collaborazione esterna oggi anche della Chiesa Cattolica.

A Bose, come qui al CEC, come poi visitando quel grande affresco di umanità, di fraternità e di solidarietà che è il Museo della Croce Rossa ci si sente molto piccoli e un po’ mediocri…..ma anche giustamente provocati a guardare oltre e orgogliosi di appartenere a quell’umanità che non genera solo crimini e morte ma è anche capace di azioni uniche e straordinarie.

E finalmente CLUNY: prima con i resti della maestosa Abbazia che intorno all’anno 1000 registrò la rinascita morale e spirituale dell’Europa poi con la sua originale e intrigante vicinanza a Taizé: questa collina piena di colori, di andirivieni originali e stravaganti, di razze, di lingue, di creatività segnata dalla diversità…Viene spontaneo fare subito il raffronto con le nostre vite e i nostri ambienti a volte complicati, con il vecchiume delle nostre istituzioni, la pesantezza e l’immobilismo delle nostre strutture, la problematicità e le sorprese di un quotidiano dove a “farla franca” sono i furbi e a trarne profitto sono, puntualmente, gli scorretti e i vincenti.

TAIZE’: la cena fu il primo impatto. Niente male. La preghiera della sera fu il momento che subito ci prese e ci affascinò. Una Chiesa enorme, spoglia, incredibile per la sobrietà e la semplicità….una marea di giovani e meno giovani seduti per terra…in ascolto…in silenzio….un numero imprecisato di volti a capo chino nella penombra…bocche che bisbigliavano preghiere nella loro lingua o “mozziconi” di canti semplici, ripetitivi… uno accanto all’altro, vicini, senza paura e senza problemi, per nulla stizziti, preoccupati o paurosi della vicinanza dell’altro… E ad un certo punto mi trovo a pensare e a dirmi: “Ecco, forse è questa la Chiesa che vuole Gesù: seduta… in ascolto… nella penombra… vicina… orante.

Chiesa seduta

Non tanto per stanchezza o per pigrizia. Potrà anche succedere, a volte. Seduta invece perché consapevole di essere “niente”, di dipendere totalmente dal “suo” Signore, di avere assoluto bisogno di mettersi ai suoi piedi per lasciarsi guardare, toccare, incoraggiare e per scorgere, pazientemente, le tracce di quel Gesù che instancabilmente la precede. Forse ci stiamo lasciando tentare un po’ troppo oggi da un “neo-trionfalismo”: quella voglia matta cioè di essere noi i protagonisti, di contarci per poter contare, sentirci irripetibili e insostituibili, di viverci come unici depositari della verità più che umili servitori di essa, viandanti, portatori di una piccola porzione di quel grande mosaico che è la verità… “Io non possiedo la verità –ripeteva di continuo Padre Claverie- ho bisogno della verità degli altri, sono un mendicante della verità”. La tentazione di voler essere molti, di voler “fare il pienone” per poter dire poi che è andata bene…che il nostro progetto, le nostre proposte funzionano…e, in fondo, poterci sentire forti. Questa tentazione, sempre presente, di sostituirci a Dio o, più elegantemente, fargli da schermo…Una tentazione non facile da superare: per me, per te, per le nostre parrocchie, per la nostra Chiesa oggi….

Maria al cap. 10, 38-42 di San Luca fa un gesto che indispettisce la sorella Marta e, in verità, lascia perplessi anche noi. Appena Gesù arriva a Betania ed entra nella loro casa “Maria si siede ai piedi del Signore e sta in ascolto di quello che dice….”.

Non so come le nostre parrocchie (e la nostra comunità di San Giorgio in particolare) possano ritrovare davvero la voglia, il desiderio, il piacere, la bellezza di “sedersi” in ascolto docile della Parola del loro Signore per assaporare così la loro finitezza, le loro povertà e scoprire che “il futuro delle comunità cristiane oggi –come dice Enzo Bianchi- dipende dalla nostra fedeltà ad essere ‘sale e luce del mondo’ (Mt 5, 13-14)…oppure dal nostro ridurci alla stregua di quel sale che, avendo perso il sapore, ‘serve solo ad essere gettato via e calpestato dagli uomini’ (Mt 5,13): …peccato!, non se ne avrà un terzo!

In ascolto

No! Non possiamo proprio dire di saper ascoltare! La velocità del vivere, l’immediatezza della tecnica, la rigidità delle leggi economiche e dei mercati, la freddezza dei legami ci stanno rubando l’interiorità e stanno impoverendo la nostra capacità di ascolto. Con il rischio che ci dividiamo fra quanti si credono padroni di sé e quindi autosufficienti in tutto e per tutto e quanti invece arrancano da mattina a sera alla ricerca di una mano tesa, di uno sguardo, di un sorriso… In questo cyber-mondo siamo sommersi dall’informazione e della tecnica ma poveri di vero ascolto e di sapienza.

A perderne è soprattutto Dio e la sua Parola. Abituati come siamo a vivere con Lui un rapporto carico di parole, di richieste, di rimproveri qualora le cose non vadano per il verso giusto…può succedere che troviamo assurdo, inutile e improduttivo sostare in silenzio dinanzi a Lui, chinare il capo, ascoltare e macinare la sua Parola, quella Parola che “è viva ed efficace. Più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito, fino là dove si toccano le giunture e le midolla. Conosce e giudica anche i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).

Sapete qual è stata la fatica maggiore che abbiamo fatto i primi giorni a Taizé? Sostare in preghiera con un lungo silenzio. “Non ce la faccio –dicevano i più giovani (e non solo)- …non so che cosa dire…non so a cosa pensare…mi fa venire sonno!” . Questa nostra vita di fede così piena di devozioni, di scadenze sacramentali, di tradizioni che risalgono alla notte dei tempi, di ritualismi….e così povera dell’unica cosa che veramente vale: l’ascolto di Dio e della sua Parola.

Al popolo d’Israele appena uscito dalla schiavitù dell’Egitto Jahvè, per bocca di Mosè raccomanda un’unica cosa: Ascolta, Israele!…Io sono il Signore, tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile… Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…” (Deuteronomio 5, 1. 6; 6,4). Quando Gesù andò a Nazareth nella Sinagoga dove era stato cresciuto per prima cosa apre il libro del profeta Isaia e si mette in ascolto…quando si trovò tentato riuscì a venirne fuori grazie all’ascolto duro e intenso della Parola di Dio…. quando in piena crisi salì sul monte con Petro Giacomo e Giovanni si mise subito in ascolto di Mosè e dei profeti….

Il primo e fondamentale “mestiere” che le nostre parrocchie dovrebbero fare è fermarsi, aprire il sacro testo e ascoltare. Senza la Parola di Dio posta al centro, senza farci tutti discepoli e ascoltatori della Parola, senza “perdere” tempo ed energie nell’ascolto di Dio e dello Spirito rischiamo di diventare un “mucchio” di brave persone che si mobilitano, stanno bene insieme, si sanno organizzare e organizzano, si divertono e fanno divertire…ma faremo fatica a essere quella comunità di Atti degli Apostoli che “ascoltava con assiduità la parola degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla cena del Signore e pregavano insieme. Vivevano unanimi e concordi, e quelli che possedevano qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che avevano lo mettevano insieme….” (Atti 2, 42; 4, 32). Occorre urgentemente il “grande coraggio di affidare la Chiesa alla Parola di Dio”.

L’ascolto ti obbliga a fare il vuoto dentro di te, ti obbliga a liberarti di un sacco di cianfrusaglie interiori, ti chiede di aprire il cuore, ti domanda pazienza interiore e a volte anche fatica. L’ascolto di Dio e della sua Parola chiede che tu ti lasci guardare negli occhi, che ti lasci mettere a nudo, che ti lasci toccare “dentro” perché solo così nascerà in te il coraggio della gratuità e la determinazione a seguire, anche oggi, Gesù Cristo con coraggio, fantasia e creatività. E’ così che anche noi potremo divenire, scrive Enzo Bianchi, “comunità capaci di narrare ancora oggi che Gesù Cristo “ha speso la vita per, è morto per”, in un’esistenza vissuta per amore degli uomini suoi fratelli, e per questo, attraverso il suo amore vissuto fino all’estremo, ha vinto la morte ed è risorto per sempre. Alla domanda su quale fosse lo specifico dei cristiani, S. Basilio rispondeva con stupefacente concisione, citando l’apostolo Paolo: “la fede che opera attraverso l’amore” (Galati 5,6)”

Nella penombra

Chissà perché Dio ama le “tinte scure”, il buio, la penombra…E’ nato di notte, per 30 anni è vissuto nascosto a lavorare, da mattina a sera, nella bottega di suo padre, ha celebrato la sua ultima eucaristia nella penombra del cenacolo, ha vissuto la tragedia dell’agonia nella più buia disperazione, è risorto squarciando la calma pesante della notte. Il buio, la penombra, il chiaroscuro indecifrabile sono anche il segno di riconoscimento di molte nostre giornate trascinate pesantemente alla ricerca di qualcosa che ci smuova, ci dinamicizzi, ci scuota, ci dia l’input per…

Quante situazioni poi si consumano al buio! E tu non lo sai né lo vieni a sapere perché c’è sempre la maledetta “privacy” che ti blocca o impedisce a dire, a uscire, a capire…E allora giù…! Chi è nel tunnel della disperazione ci rimane e vi penetra sempre più, chi non ne può più di se stesso o degli altri rischia di impazzire senza che nessuno se ne accorga, chi ha deciso di troncare con il partner lo fa con la massima indifferenza anche se l’altro non ne capisce il perché, chi si trova appiedato dalla vita, dalla malattia improvvisa, da un lavoro che d’un colpo cessa si trova lì a consumare la sua tragedia in penombra…da solo…

E se per caso Gesù Cristo amasse il buio e la penombra per far capire che Lui ama in modo speciale e particolare le persone e le situazioni che vengono affossate dal buio e dalla penombra? Non so se questa sia una lettura “teologicamente” corretta ma non avrei alcuna remora a fare questo “legamento” e a dire che Gesù Cristo si fa trovare in modo del tutto unico e originale lì, in quei crocevia, in quegli snodi spesso grigi, incomprensibili, indecifrabili. Se ciò non fosse vero le due parabole –quella del “buon samaritano” e del povero Lazzaro ai piedi del ricco epulone- le ha raccontate per niente. Ha ragione forse chi afferma che le nostre parrocchie devono fare marcia indietro e capire che la “nuova evangelizzazione” c’è nella misura in cui ci si accorge dei tanti “samaritani” che arrancano lungo le nostre vie, nelle nostre case, nei nostri condomini e dei tanti “Lazzaro” seduti fuori delle nostre porte o accovacciati ai bordi delle strade o fuori dei tanti bar o sui gradini dei municipi e delle Chiese.

Accorgersi, perché? Perché il samaritano, Lazzaro…sono Gesù Cristo stesso. Ecco perché la “nuova evangelizzazione” dovrà tornare in strada e partire dalla strada. Come? E’ questa la sfida, per tutti………Saremo credibili e creduti oggi non mettendoci a “fare mucchio” sotto i campanili o nutrendoci di “pane e giochi” ma indossando prima di tutto la veste della misericordia e “sporcando le nostre mani” per servire la Carità. “Solo una Chiesa che saprà usare misericordia e vivere intensamente la carità –scrive ancora Enzo Bianchi- che non condannerà gli uomini peccatori ma solo il loro peccato, che rifiuterà di nascondersi dietro lo splendore di una verità che abbaglia e ferisce, solo questa Chiesa sarà capace di raccontare i tratti di Gesù suo Signore e di essere così ascoltata dagli uomini. Oggi gli uomini sono in gran parte indifferenti al dogma e al rito, diffidenti verso i codici morali; nonostante ciò, in profondità essi desiderano che la Chiesa mostri la sua capacità di essere misericordiosa, di chinarsi sulle loro ferite e sulle loro piaghe, di tessere relazioni con tutti, così da impedire ogni sorta di emarginazione o esclusione”.

Uno accanto all’altro

In quella chiesa di Taizè solenne nella sua semplicità l’effetto è meraviglioso: centinaia e centinaia di giovani e meno giovani stretti uno accanto all’altro a pregare, a cantare, a rimanere a capo chino, in silenzio. Un marea di colori, di lingue, di odori, di espressioni che piano piano si compongono e si uniscono nelle invocazioni sottili e insistenti. Fu spontaneo, in quei momenti, andare con il pensiero ai terribili e violenti filmati visti al Museo della Croce rossa: l’uomo è veramente capace delle azioni più nefande e infami come delle scelte più alte e fraterne. Siamo proprio un fascio di contraddizioni! E il dato più inquietante è che, pur sapendolo e pur avendone sotto gli occhi gli effetti devastanti, facciamo ancora fatica a cambiare marcia, a prendere sonoramente posizione a favore della vita, a fare di noi stessi i samaritani della vita, a trasformare le nostre famiglie in luoghi di accoglienza e tenerezza, a fare delle nostre parrocchie tende di solidarietà e fraternità.

Sono sempre più convinto che la scommessa dell’evangelizzazione oggi passa attraverso il coraggio adulto e robusto di ripensare la fraternità e di rimettere al centro la persona, l’uomo con tutte le sue contraddizioni e ferite ma anche con le sue attese e speranze. “La gloria di Dio è l’uomo vivente” dice un grande santo dei primi secoli della Chiesa, Sant’Ireneo. Ed è vero. La resurrezione è la decisione unica e irrevocabile di Dio di rimettere l’uomo in piedi. Per sempre. La vittoria di Dio su ogni forma di violenza alla fraternità è sigillata. Ci appartiene. Una convinzione che dovrebbe scorrere nelle nostre vene, inquietarci, renderci annunciatori instancabili di questa vittoria che niente e nessuno potrà ormai archiviare.

C’è del cammino da fare: è fuori dubbio. Z. Bauman nel suo libro ‘Modernità liquida’ , riferendosi al ’fare comunità oggi’ e comunità cristiana in particolare, parla di “comunità da guardaroba, o comunque da carnevale. Si radunano brevemente per unirsi in uno spettacolo, che può essere una partita di calcio o un’opera lirica o magari l’Eucarestia domenicale. Comunità simili offrono una breve, talvolta intensa sensazione di unità, che scompare quando lo spettacolo è finito…” E’ a questo che somigliano le nostre Eucaristie?

Un breve spettacolo condiviso, l’unirsi nel canto degli inni, il sorridere alle battute del predicatore, una veloce tazza di caffè, e poi di nuovo fuori, verso un’altra giornata fredda e solitaria? Finchè le nostre Parrocchie non si affideranno allo Spirito Santo, finchè le relazioni fra di noi saranno marchiate da pregiudizi inutili quanto ignoranti, finchè ci mortificheremo a vicenda perché non riusciamo ad avere profonda fiducia uno dell’altro, finchè la gratuità e la disponibilità appartengono, come scelte, solo a chi ha tempo libero o non sa come impiegare il suo tempo e non divengono invece il modo abituale di essere comunità, finchè continuiamo a essere dipendenti di quella cultura che ci vuole santi e devoti in Chiesa ma trasgressivi, disinibiti e disinvolti in piazza, finchè… faremo davvero fatica a viverci reciprocamente con simpatia, troveremo insipido e inutile il saperci sedere stretti, uno accanto all’altro…

Fare comunione…camminare insieme…avere a cuore l’altro/a e il suo vissuto…scoprirci e sentirci corresponsabili…non possono rimanere slogans vuoti quanto inutili. Divenire comunità del Risorto chiede che siamo terreno fecondo che accoglie questi semi, li porta a maturazione fino a trasformare la nostra parrocchia nella casa della vera fraternità.

Una conclusione?

- Rimettere al centro Gesù risorto e saperci sedere ai suoi piedi
- Ri-trovare il coraggio dell’ascolto perché la sua Parola penetri in noi e sia la nostra guida
- Vestirci di misericordia e profumare di carità
- Dare la propria vita, su  esempio di fr. Roger, di molti santi e grandi uomini e donne dei nostri giorni, per la fraternità e la piena riconciliazione fra di noi

Come aiutarci a far sì che tutto ciò sia il nostro primo e più grande impegno?

Eckhart scrive:

“Proprio nella misura in cui esci da tutte le cose, proprio in quella stessa misura, né né più né meno, Dio arriva a entrarvi con tutto ciò che è suo, se davvero tu esci decisamente da tutto ciò che è tuo”

Quinto 31.07 - 07.08 2005

Motivati in profondità e convinti finalmente che la comunità dei credenti deve vivere con porte e finestre spalancate ci nacque il desiderio di andare alla scoperta di chi, come e che cosa ci avesse generato alla fede.